
La Storia dietro ogni scarpa: Un Viaggio nell'Autentico Made in Italy

Le radici nell'artigianato: Dalla bottega di famiglia alle mie mani, l'autentica storia di Alfredo Pagliuca
La mia storia affonda le radici in un luogo dove l'artigianato calzaturiero è più di una professione: è un'identità. Sono cresciuto in un borgo di Aversa, chiamato il Limitone, e precisamente in via Corso Bersaglieri. Naturalmente, tutto il quartiere era pieno di realtà artigiane, ma proprio quella della calzatura era particolarmente diffusa, eravamo in tanti. Ecco perché, in una stradina di appena 300 metri, si susseguivano 4 o 5 botteghe laboratori, ognuna custode di un sapere antico e dedita alla creazione di scarpe fatte a mano.
Ricordo vividamente le estati, quando le botteghe si trasferivano all'aperto per sfuggire al caldo. La strada si animava di bancarelle da lavoro, circondate da 3 o 4 artigiani intenti a costruire scarpe fatte a mano con le loro mani sapienti. La mia famiglia, in particolare, lavorava "in portone", riparata dal sole grazie all'ombra degli alberi di agrumi, un'immagine che profuma di tradizione e passione. Intorno a quel tavolo basso, che chiamavamo "bancariello", sedevano mio nonno Alfredo, mio padre Raffaele, i miei zii Salvatore e Antonio, e altri artigiani. Sopra il bancariello c'erano sempre sementi, chiodi, pinze, martelletti: gli strumenti di un'arte antica. Era un'atmosfera bellissima, e non vedevo l'ora di tornare da scuola per unirmi a loro e imparare. Ricordo mio padre, grande lavoratore e maestro, che rifilava le chiandelle e poi montava la prima fase della scarpa, mettendola su forma. E mio zio Salvatore, che con precisione la chiudeva in punta e rifiniva le famiglie. Non dimentico neanche mio nonno Alfredo, che bagnava i puntali nell'acqua e sale, un gesto carico di saggezza. Erano momenti magici, quei ricordi sono ancora vivi.
E proprio in quella via, tra quelle botteghe, c'era anche un'altra grande famiglia di artigiani: 10 o 12 tra fratelli e sorelle. Li ricordo fin da bambino, e ognuno aveva un compito ben preciso nel loro lavoro. Anche loro avevano la loro piccola fabbrica-laboratorio di calzature, un po' nascosta, con gli stessi macchinari di 25 anni fa. Loro sono bravi artigiani, ma come tanti, hanno avuto a che fare con commercianti del posto che, pur di risparmiare, li hanno costretti a una lavorazione più economica, svalutando il loro stesso prodotto: a volte i loro articoli in pelle non superavano i 30 euro, un abisso rispetto agli oggetti di lusso su cui ho poi avuto l'opportunità di lavorare. Questa è una parte della "cultura aversana" che ha impedito a tanti, pur con grande maestria, di valorizzarsi appieno. È lì, in quello spazio così denso di storia e di queste sfide silenziose, che oggi è appoggiata anche una macchina da taglio laser Elitron, di un amico, che però non collabora con loro.